POESIE

Iosif Brodskij
York: In Memoriam W. H. Auden

Le farfalle dell’Inghilterra settentrionale danzano sulla malerba
sotto il muro di mattoni di una fabbrica morta. Dopo il mercoledì
arriva il giovedì, eccetera. Il cielo è arroventato,
e i campi bruciano. Le città sanno di ammuffito
panno a strisce, le dalie soffrono la sete.
E la tua voce – “Ho conosciuto tre grandi poeti.
Ognuno di loro era un gran figlio di cane” – risuona
nelle mie orecchie con nettezza inattesa. Rallento il passo, sono

pronto a voltarmi indietro. Sono quattro anni presto,
che tu sei morto in un albergo austriaco. Sotto la freccia
del passaggio pedonale non c’è un’anima: solo tetti, asfalto,
calce, pioppi. Anche Chester è morto, lo sai certo
meglio di me. Come un pallottoliere polveroso le biglie,
stanno sui fili della luce i passeri. Nulla
trasforma così un noto portone in una selva
di colonne come l’amore per un uomo; specie se egli

è morto. L’assenza di vento costringe le foglie
a tendere i muscoli e muoversi, di malavoglia.
La danza delle cavolaie bianche sembra una nave nella bufera.
L’uomo, in qualunque punto del mondo vada, reca
con sé il vicolo cieco; col suo angolo ottuso un ginocchio
ripiegato moltiplica una prospettiva di prigione, che
è come un cuneo di cicogne, quando
drizzano il corso a sud. Come tutto ciò che va avanti.

Il vuoto, inghiottendo la luce del sole alla
stregua di un biancospino, si gonfia – quasi lo palpi –
in direzione di una mano tesa, e il mondo si fonde in una
lunga strada nella quale vivono
gli altri. In questo senso è Inghilterra. L’Inghilterra
in questo senso è ancora Impero e in grado – a credere
alla musica, come acqua gorgogliante –
di dominare i mari. Quindi ogni elemento.

Io negli ultimi tempi sono un poco smarrito:
mostro i denti al mio riflesso nella vetrina; mentre il dito
compone il numero, la mano lascia cadere la cornetta.
Basta che chiuda gli occhi, e vedo una scialuppa
vuota, in mezzo alla baia. Uscendo
dalla cabina del telefono, sento
la voce di uno storno, c’è paura nel grido suo. Ma
prima che esso voli via, si scioglie quel suono

nell’aria. Alla cui immateriale azzurrità simile
è questa vita, dove le cose nel deserto sono più visibili,
perché là tu non ci sei. E il vuoto a poco a poco colma
il paesaggio locale. Come secca schiuma,
le pecore riposano sul mare verdecupo
dell’erica dello Yorkshire. Il corpo
di ballo, docile a un archetto invisibile, delle farfalle
leste balugina su un fosso cespuglioso, alla pupilla
non permettendo di soffermarsi sopra un punto.

Lo stelo verticale dell’epilobio è lungo
più di questa antica strada romana
che va dal Nord, da tutti a Roma dimenticata.
Sottraendo maggiore da minore, Tempo
da uomo, avrai parole come resto
che spiccano su sfondo bianco più nettamente di
quanto riesca il corpo a fare in vita, anche dicendo: “prendimi!”.

E la fonte d’amore si trasforma in oggetto d’amore.

Da “Poesie: 1972-1985”

QUI la versione Inglese

Letta da Domenico Pelini

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