L’infanzia non è un tempo della vita
che ha principio coi giochi e si conclude
quando, adulti oramai, ce ne disfiamo.
L’infanzia è il regno in cui nessuno muore.
Nessuno d’importante, si capisce.
Ci sono lontani parenti che muoiono,
che abbiamo visto solo per un’ora
e che ci regalarono dei dolci
in una scatola a strisce verdi e rosa,
o un coltellino, ma presto sparirono,
non puoi dire che siano stati ” vivi”.
E muoiono anche i gatti, che agitavano
la coda sul tappeto, il pelo reticente
all’improvviso scosso, percorso da pulci
che nessuno vi avrebbe immaginato,
lucente e bruno, i gatti che sapevano
tutto quello che c’è da sapere,
emigranti nel mondo dei vivi.
Tu prendi una scatola da scarpe,
che ora è troppo piccola per lui,
ne’ può là dentro raggomitolarsi:
ne prendi una più grande, lo seppellisci nel cortile, e piangi.
Ma non ti svegli dopo un mese o due, nel mezzo della notte,
né dopo un anno, né dopo due anni,
a piangere, mordendoti le dita, a gridare:” Mio Dio, mio Dio, mio Dio!”.
L’infanzia è il regno dove nessuno d’importante muore-
madri e padri non muoiono.
E se tu hai detto: “Per l’amor del cielo,
devi proprio baciarmi di continuo?”
o “Vorrei tanto che smettessi di battere contro la finestra”
Domani o il giorno dopo, in pieno gioco,
avrai il tempo per dire” Scusa, mamma”.
Diventi adulta quando siedi a tavola
in compagnia di morti,
persone che non parlano e non sentono;
che non bevono il tè, che pur dicevano
essere il primo dei piaceri umani.
Corri in cantina a prendere per loro
il vasetto più fresco di lamponi:
non li tenti.
Lusingali, allora: non abboccano.
Gridagli in faccia, alzati, arrossisci,
strappa alle sedie quelle palle rigide,
scuotile, strilla pure;
rimangono impassibili, nemmeno imbarazzati; scivolano solo
indietro sulla sedia.
Ora è freddo il tuo tè.
Lo bevi in piedi
e poi lasci la casa.
QUI la versione originale in lingua Inglese