Dei nostri incontri ogni istante
festeggiavamo come un’epifania,
soli nell’universo tutto.
Più ardita e lieve di un battito d’ala,
per le scale correvi, come un capogiro,
precedendomi tra cortine
di umido lillà
nel tuo regno
dall’altra parte dello specchio.
Quando la notte venne,
ebbi da te la grazia,
si spalancarono le porte dell’altare,
e le tenebre illuminò chinandosi lenta la tua nudità
e io destandomi: “sii benedetta”,
dissi,
pur sapendo che oltraggio era
la mia benedizione:
tu dormivi,
e a sfiorarti le palpebre col suo violetto
a te tendeva dal tavolo il lillà
e le tue palpebre sfiorate di violetto erano quiete
e calda la tua mano.
E nel cristallo pulsavano i fiumi,
fumavan le montagne, luceva il mare,
e tu tenevi in mano la sfera di cristallo,
e tu in trono dormivi
– e Dio! – tu eri mia.
Poi ti destasti
e trasfigurando il quotidiano
vocabolario umano, a piena voce pronunciasti
“tu” e la parola svelò
il vero suo significato: e…”zar” divenne.
Nel mondo tutto fu trasfigurato,
anche le cose semplici:
il catino, la brocca, l’acqua che sta fra noi
come sentinella,
inerte e dura.
Chissà dove fummo spinti.
Dinanzi a noi si stesero come miraggi,
città nate da un prodigio,
la menta sola si stendeva sotto i nostri piedi,
e gli uccelli c’erano compagni di viaggio,
e i pesci balzavano dal fiume,
e il cielo si spalancava ai nostri occhi…
Quando il destino seguiva i nostri passi,
come un pazzo col rasoio in mano.
Da “Poesie scelte”
Lettura di Domenico Pelini