Alle 4 di questa notte mi sono svegliata sentendo WhatsApp: era mio
figlio da Parigi (quindi per lui erano le 10 del mattino) che non stava nella
pelle dopo avere visto abbattuto il muro delle 2 ore in una maratona.
Quando poi abbiamo smesso di parlare (di scrivere in effetti) mi sono ritrovata
a pensare all’impresa compiuta ma soprattutto all’uomo che ci era riuscito.
Il primo pensiero che ho avuto non è stato
veramente molto corretto …
ma ho scritto: “Alla faccia delle varie supremazie bianche!!” il che è
effettivamente quello che pensavo.
Poi ho cercato di immedesimarmi in quanto poteva provare Eliud Kipchoge: tutta
la sofferenza, tutti gli sforzi e i sacrifici fatti trovavano finalmente un
coronamento, una ricompensa che varrà solo per
lui (il record non potrà venire
omologato a causa dei cosiddetti “Peacemakers”, le lepri).
Sarà quello
che sognava? quello che voleva? ovviamente arriverà anche
molto altro, notorietà,
riconoscimenti, inviti ovunque, forse denaro.
Ma per lui quale sarà la vera
ricompensa? L’abbraccio della donna che
lo aspettava all’arrivo, avere condiviso questo traguardo con decine di altri
corridori che lo hanno accompagnato e aiutato (e questo è un vero
riconoscimento alla sportività), avere
infranto un muro che esisteva da sempre e su cui tutti sognavano e lottavano?
Cosa lo avrà tenuto
attaccato a questo traguardo mentre la fatica gli spezzava i muscoli?
E sapete, ci pensavo perché io
pensavo al mio piccolo record, all’essere riuscita a rifare il mio sito da
sola, alla mia età, nelle
mie condizioni di salute, senza nessuno che mi potesse o volesse aiutare e
darmi consigli, o trascinare quando non ce la facevo più.
Capisco che sia un paragone ridicolo, davvero stile elefante e formica (anche
se la realtà fisica
sarebbe l’opposta alla grandezza dell’impresa).
Pare che le due cose non abbiano nulla in comune, eppure nel buio della notte
mi sono trovata a vedere quante cose invece in comune avevano e poi nelle ore
successive ho cercato e sto cercando di trovare una risposta che valga o possa
far valere anche per me.
Eliud Kipchoge ha vinto, ha infranto il record, ha compiuto la maratona sotto
le due ore: incredibile quello che ha fatto da ogni punto di vista lo si
consideri.
Ma non ha vinto, non ha ufficialmente battuto un record, non ha gareggiato
effettivamente in una maratona pubblica.
È come se
lo avesse fatto per sé stesso,
per dimostrare prima di tutto a lui stesso e poi al mondo intero che poteva
farcela.
Ma non solo lui: gli esseri umani tutti.
Mi è piaciuto
ragionare così nella
mia testa, trarre queste conclusioni e vedere la sua conquista come una
conquista di tutti gli esseri umani.
Ma contemporaneamente mi sono chiesta come lui la viveva, senza l’ufficialità di un
record restava comunque un traguardo raggiunto? una vittoria?
Il tifo, gli applausi, la gioia della sua nazione, il Kenya, lo avranno
compensato di tutto quello che ha fatto
per arrivare lì?
Perché in fondo
di quello si tratta, nella sua splendida impresa come nella mia piccola – e
invisibile agli altri – conquista.
Ma io forse non ho la stoffa del grade campione, del lottatore ad ogni costo…
Io sono molto più terra
terra e, pur sapendo che la mia vittoria può e deve
essere solo una cosa mia, non riesco a viverla così e quindi
perdo i pezzi per strada.
Forse volevo il bagno di folla, l’applauso del pubblico, un riconoscimento
della titanica impresa ….
sono ovviamente nel campo totale della auto ironia, mi sto prendendo in giro e
so di farlo, ma ….
allora perché sto così male
quando vedo che le cose non migliorano, che non riesco ad andare dove avrei
voluto? Perché non
riesco ad accettare che LioSite sia quello che è, un
piccolo, anonimo sito come milioni di altri, in cui nessuno entra se non per
caso e quando ci si arriva e si trova quello che si cerca, si prende e si va
via insalutati ospiti.
Che sia questione di obsoleta educazione, dell’abitudine che nel corso di una
vita è diventata
un riflesso inconsapevole di dire “GRAZIE” se qualcosa mi ha aiutato
o dato un attimo di piacere o un sorriso.
Io non giro molto su Facebook, lo faccio qualche volte la sera a letto prima di
immergermi nella lettura.
Ma mi viene istintivo mettere un like se vedo una foto che mi piace, o leggo
una citazione o una poesia che raccolgo o che rivedo volentieri.
O mettere un “cuoricino” anche solo per fare vedere che ho visto, che
non è stato
invano che chi lo ha messo abbia fatto il “lavoro” di condividerlo.
Alle volte metto un segno anche solo perché vedo che
nessuno lo ha messo e lo faccio anche con le pagine professionalmente condotte,
perché penso
che anche loro ci faticano per attirare l’attenzione e lo fanno con un qualche
scopo.
Se leggo un giornale non mi sento in dovere di ringraziare visto che il
giornale lo ho pagato, ma le notizie (anche di tipo giornalistico) che trovo su
Facebook a me arrivano in forma gratuita, mi permettono di conoscere qualcosa
che altrimenti non avrei conosciuto.
E allora perché non dire
“grazie”, mi hai fatto un piacere
e voglio che tu lo sappia che non hai lavorato per nulla.
È così assurdo
essere gentili? O il volere comunicare a qualcuno che è riuscito
a raggiungere il suo risultato? Perché in fondo
che mette dei post sui Social lo fa con qualche scopo (e non voglio indagare su
quale sia quello degli altri, io conosco il mio) e l’unico modo che ha di
sapere se lo ha raggiunto è il
commento, la condivisione, il “mi piace” o altri e vari simboli che
sono offerti.
Perché dobbiamo
fare passare nel silenzio e nell’indifferenza anche questo tentativo di rompere
i muri da cui siamo tutti circondati?
Io non amo il fatto che ormai passi tutto dai social, FB, Twitter, Instagram,
ma se alziamo barriere anche lì cosa
resterà della possibilità di
ritrovarci, di parlare, di comunicare?
Io non ho alternative alla tastiera per comunicare.
Una vita fa, nel 2002, avevo iniziato il mio percorso di ricerca di rapporti
umani online.
Ovviamente per capire cosa io intendessi (allora e ora) si deve inquadrare la
sottoscritta 😉
Non ero certo alla ricerca di avventure, o di strane cose.
Forse cercavo quello che si chiamava un tempo “l’amico di penna”
moltiplicato numericamente dal fatto di essere nel web.
Avevo già
tantissimi amici online, persone mai viste nella realtà, anche
se effettivamente qualcuno di loro lo conobbi anche personalmente negli anni
successivi ospitandoli pure a casa mia (Ciao Luciano) quando ero ancora in
Italia.
Il mondo in cui giravo online era un mondo strano, di frontiera: il mondo della
condivisione (warez), altrimenti considerato quello dei pirati, dei disonesti
ladri che condividevano una canzonetta (ed era veramente una canzone visto che
con le connessioni di un tempo a 56 K per scaricare una canzone ci volevano
ore).
Ho molto amato quel mondo e lo ammetto, quello dei forum che allora erano
piccole realtà di
giovani (ed io già allora
ero strana presenza tra loro: la nonna del corsaro nero 😀 ).
Ma io in quel mondo ci stavo per il piacere di condividere: esattamente come
prestavo un libro all’amica, o un piatto di biscotti o qualsiasi altra cosa
“reale”.
Si sono create amicizie che durano ancora 25 anni dopo: loro allora erano
sedicenni o ventenni, oggi sono padri di famiglia.
Io allora ero poco più che
quarantenne e oggi sono vecchia.
Ma il sistema non è mai
cambiato nemmeno quando per me il web è divenuto
l’unico mondo in cui avere ancora contatti con le persone.
Gli amici, quelli reali, dopo un po’ di tempo si sono fatti una ragione: io ero
qui in Canada e loro in Italia; come continuare un rapporto? Piano piano si
sono persi tutti i contatti, ma dentro di me restava comunque vivo l’affetto e
l’amicizia che provavo per loro.
Ogni distacco era un pezzetto di me che se ne andava lasciandomi più vuota e
misera.
Ed ecco nascere LioSite: il posto di Lio, il salotto in cui speravo di trovarmi
con amici.
Ma cosa potevo offrire io di virtuale, visto che la fatidica cioccolata, o la
gentilezza di prestarti realmente qualcosa o di farti un piacere
“tangibile” non poteva esserci?
Ecco da qui nacque l’idea del condividere una delle cose che ho amato
maggiormente, la lettura.
Poesie, citazioni, canzoni, pezzi di vita per me.
Ed un blog in cui parlare ad ognuno e a tutti.
E poi avevo pensato ad una mailing list, e poi ad un forum….
ma ben presto mi accorsi che non sarebbe andata così.
Ed il resto è storia
che passa attraverso tre o quattro differenti siti creati prima da me e poi da
un giovane allora alle prime armi ed oggi professionista affermato.
Fino al sito di oggi, fatto da me completamente, con una fatica infinita, con
crolli spaventosi.
Buttato e rifatto non so più quante
volte: decine.
Che in fondo è stata la
mia salvezza in ogni momento, anche nei peggiori quando avrei voluto mollare la
spugna non solo del sito ma anche di me stessa.
Stanca, infinitamente stanca.
Depressa, infinitamente.
Ero senza scopo, senza speranze, il nero era l’unica cosa che riuscivo a
vedere.
Ma nel buio ricompariva a sprazzi una lucina microscopica, il senso della sfida
che LioSite rappresentava.
Ed ho tenuto duro, non so come, ma certamente anche grazie a qualcuno di voi
che non mi ha abbandonato mai.
Certi provenivano dai vecchi forum warez, altri dai gruppi di grafica
successivi: tutto senza volto, ma presenti nella mia vita.
Ed a loro io avevo fatto una promessa e non potevo non mantenerla.
Sono stati il motore di tutto.
Anche mentre stavo male e credevo ormai di essere alla fine del mio percorso (e
la cosa non mi faceva nemmeno una grande impressione), io sapevo di avere fatto
una promessa e volevo mantenerla.
Almeno per quanto nelle mie possibilità.
E so bene che il risultato non è certo il
sito bello, perfetto ecc. ecc.
che io avrei voluto e che un professionista mi avrebbe dato.
Ma è il mio,
fatto da me e da me sola.
Era lì, online
finalmente: per me era il raggiungimento dell’impresa sognata.
Ero io il maratoneta che era arrivato in fondo e aveva infranto il muro
irraggiungibile delle due ore (insomma, per me sono stati due anni …. ma
amen!).
Come lui vedevo il traguardo di fronte a me e non stavo nella pelle.
Ma lui pare abbia vinto, per me ha vinto, è riuscito
dove nessuno era riuscito prima.
Ed alla fine cosa importa l’ufficialità, la
medaglia, il riconoscimento ufficiale.
Il riconoscimento glielo sta dando la folla, la gente di tutto il mondo, i
giornali, le televisioni.
Si sentirà
appagato? o continuerà a
mancargli qualcosa?
Io credo che Eliud Kipchoge sia un essere umano con una forza di volontà davvero
straordinaria e quindi voglio sperare che la sua soddisfazione sia totale
quanto straordinario è quello
che ha fatto.
Ma io non sono lui, io sono ben più
miserella e meno motivata, meno seguita ed incitata, meno allenata.
Io sono solo una vecchia signora che voleva riavere il suo mondo di contatti,
di persone, di presenze.
Sono stata una stupida vecchia che inseguiva la carota che mi mettevo davanti
da sola: il risultato.
Ma quando il risultato, quello effettivo, quello che si vede, quello dei numeri
si è visto
che non solo non c’era, ma anzi che senza sito e senza la mia presenza almeno a
livello dei social le cose andavano meglio e che il sito stesso perdeva in
numeri ma solo a causa della non
responsività, allora
mi sono iniziata a porre una serie di domande.
E le risposte che riesco a darmi ed a trovare non mi aiutano per nulla, anzi mi
affondano del tutto.
Il maratoneta Lio pensava di avere vinto, ma era solo una sua pia illusione.
Il pubblico ha invece decretato l’opposto dimostrando di non gradire.
E si sa bene che vince il pubblico, il cliente….
Niente applausi all’arrivo, niente abbracci da chi ha condiviso con te il lungo
percorso: questo perché nessuno
c’era a condividere o io non sono arrivata dove dovevo arrivare ed ho deluso
tutti.
Mistero!
Ma comunque non cambia nulla: di Eliud Kipchoge ce ne sta solo uno ed a lui e
solo a lui va la palma del vincitore e l’entrata nella storia.
E se lo è meritato!

Una risposta
Io sono una persona migliore quando leggo qualcosa di Te , quando entro in questo Tuo , meraviglioso mondo … E , personalmente , credo che Tu abbia compiuto un ‘ impresa straordinaria ; e che il tuo coraggio sia immenso quando Ti racconti davvero ( cosa difficilissima , quasi impossibile ) . Inchino , cara Lio !!!