Che, per esempio, non avevo detto a nessuno che io, da morto, voglio che i miei occhi, il mio cuore, il mio fegato, tutto quello che è ‘vivo’ dentro di me possa vivere ancora nel corpo di un altro, e tutto il resto bruciatelo e le ceneri buttatele – no, nel mare no, non voglio soffrire tutta la vita il mal di mare, e poi potrei affogare – nel vento, dal punto più alto della città, più in alto ancora, da Erice, lì dove, quando la giornata è serena – spero di riuscire a far coincidere gli eventi – si vede la mia città e la campagna con i paesini tutt’attorno e le isole Egadi: Favignana, Levanzo e Marettimo, e le saline e il mare che all’orizzonte si confonde con il cielo, e i gabbiani che volano.
Aprite l’urna e svuotatemi lì; ci penserà il vento a riempirmi e portarmi lontano, lontano, lontano fino a quando non mi vedrete più.
E poi buttate pure l’urna; sì, per favore, non mettetela al cimitero con un pezzo di marmo davanti e magari una scritta: Qui giace…
A che serve?
A farmi trovare da chi mi vuole venire a vedere?
La prima a destra e la seconda a sinistra?
No, io sono vivo, sono libero, chi mi ha conosciuto, chi mi ha voluto bene, chi mi ha voluto male, saprà dove trovarmi.