La lettera è un equivoco messaggero. Tutti noi almeno una volta nella vita abbiamo ricevuto una lettera che ci pareva provenisse da un universo immaginario, e che invece esisteva realmente nella mente di chi l’aveva scritta. E probabilmente di altrettali ne inviammo, forse senza renderci conto di entrare in uno spazio reale per noi ma fittizio per gli altri, e di cui essa lettera è inoltre il più onesto falsario, perché ci illude di varcare la distanza con la persona lontana.
Le persone sono lontane quando ci stanno accanto, figurarsi quando sono lontane davvero.
A volte ci può essere capitato di scrivere a noi stessi. E non parlo di finzioni, spesso sublimi, di cui furono capaci certi scrittori del passato: dico lettere vere, con tanto di bollo e di timbro postale. A volte ci è persino capitato di scrivere ai morti. Non succede tutti i giorni, lo ammetto, ma può succedere. E può anche darsi che i morti abbiano risposto, in una qualche forma che solo loro conoscono. Ma ciò che inquieta di più e che rode come un tarlo testardo infilato in una vecchia tavola e impossibile da far tacere se non con un veleno che avvelenerebbe anche noi, è la lettera che non abbiamo mai scritto. “Quella” lettera. Quella che tutti noi abbiamo sempre pensato di scrivere, in certe notti insonni, e che abbiamo sempre rimandato al giorno dopo.
Romanzo in forma di lettere