A volte cercavo di capire cosa avrei potuto fare una volta uscito da questo stato indefinito, ma non arrivavo mai a una conclusione attendibile.
A volte mi guardavo nello specchio del bagno e cercavo di intuirlo dall’evoluzione dei miei lineamenti, dalle possibilità della mia mimica facciale.
A mezzogiorno e di sera mangiavo con mia madre e suo marito e mi sentivo raggricciare dentro quando una battuta veniva rifatta, una considerazione riespressa, una piega di carattere rimessa in luce esattamente come cento o mille altre volte prima.
Mi sembrava morboso essere ancora lì con loro, preso nella piccola rete di sguardi e gesti che conoscevo così bene, ma non facevo niente per uscirne e non credo si capisse che ne soffrivo: avevo sviluppato una capacità di assorbire stridori senza reazioni apparenti.